Tra Ottocento e Novecento molti pittori impressionisti entrarono in contatto con la cultura giapponese al punto che nacque una vera e propria influenza artistica definita giapponismo, dal francese japonisme.
La maggior parte delle stampe che si diffusero in Europa appartenevano ai più noti esponenti del movimento ukiyo-e, ossia: Hokusai, Utamaro, Kunisada e Hiroshige. Per realizzare le loro opere questi artisti utilizzavano la xilografia, tecnica che si avvale dell’uso di una matrice di legno naturale su cui si stendono, in maniera più o meno decisa, i pigmenti, che poi andranno impressi su un foglio di carta di riso. Questo procedimento permette di ottenere svariate tonalità di colore. Immediatamente gli impressionisti iniziarono ad inserire nelle loro opere alcuni elementi “nipponici” in particolare l’uso di colori puri e la forte presenza della natura. Edouard Manet, Claude Monet e Edgar Degas furono quelli che fra tutti presero più spunti dal mondo ukiyo-e.

Manet fu uno dei primi artisti a sviluppare una certa curiosità verso le stampe giapponesi, in poco tempo cominciò a studiarle e a riprenderle nelle sue opere. In particolare lo interesserà la composizione semplificata e gli ampi ed omogenei campi cromatici. In alcuni è possibile trovare dei suoi lavori che si ispirano in tutto e per tutto alle pagine dei manga di Hokusai. In altre opere invece si limita ad inserisce solamente dei “dettagli giapponesi”, come nel caso del Ritratto di Emile Zola (1868, olio su tela, 146x114cm, Musée d’Orsay, Parigi) dove sullo sfondo si trovano due stampe: una ritrae un lottatore di sumo, mentre l’altra rappresenta un tipico giardino zen, da cui spiccano un ramo fiorito e un uccellino.
Zacharie Astruc definisce Monet il “fidèle émule d’Hokusai”. Infatti come i paesaggisti giapponesi è affascinato da ogni dettaglio della natura in particolare dall’acqua. Tuttavia, al contrario di Manet, non riprende lo stile degli ukiyo-e: i suoi studi e la sua concezione degli ambienti lo portano a una disgregazione della forma, opposta alla nettezza cromatica delle stampe giapponesi. Il carattere, che forse lo accosta maggiormente agli artisti dell’impero del sol levante, è invece lo spirito di adesione alle mille forme della natura, un legame panico che fonde indissolubilmente artista e universo. Il capolavoro “giapponese” di Monet, è probabilmente il suo giardino di Giverny, dove plasmò la vegetazione francese fino a ricostruire un degno paesaggio orientaleggiante.
Degas, più che alla natura, dedicò i suoi dipinti alla quotidianità delle persone, in particolare al mondo femminile. Per questo motivo sorge spontaneo collegarlo al giapponese Utamaro, che riservava gran parte dei suoi studi alle attività degli artigiani e delle geishe. Spesso Degas amava ritrarre giovani donne occupate nella cura della propria bellezza, in tutte queste opere l’artista cattura momenti estremamente intimi e personali, al quanto insoliti nell’arte occidentale, ma molto comuni nella produzione di giapponese. Il pittore francese, non è attirato solamente dai soggetti, ma anche dalle tecniche: ciò che lo colpisce maggiormente sono gli sfondi luminosi ottenuti grazie all’utilizzo della mica, una polvere minerale in grado di riflettere la luce. Degas tenta di ottenere un effetto simile, con un metodo differente, ma innovativo, egli stende un primo strato di colore, generalmente caldo, su cui sovrappone un colore chiaro e pastoso, molto spesso il bianco, che data la sua densità, si sfrangia rivelando così la luminosità del colore sottostante.

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