L’espressionista astratto fuori dal coro: Barnett Newman

Barnett Newman si formò nell’ambiente dell’espressionismo astratto, ma fin da subito si rese conto che la sua produzione non sarebbe andata nella stessa direzione di quella dei suoi colleghi. La ricerca di un soggetto adatto alle sue idee lo occupò per molti anni. Il suo desiderio era quello di dipingere come se la pittura non fosse mai esistita, perciò decise di porre al centro del suo mondo il tema dell’origine, tanto che in moltissimi casi anche i titoli dei suoi dipinti saranno strettamente collegati a questo concetto. A metà degli anni Quaranta realizzò “Momento”, una creazione che segnerà un punto d’inizio per la maturazione del suo stile personale. L’opera è caratterizzata da una superficie di colore non uniforme ed una sottile striscia bianca. I due elementi compositivi non sembrano essere posti sullo stesso piano, proprio a causa delle disomogeneità dello sfondo, infatti quest’ultimo appare spinto indietro dalla banda in posizione centrale.

Nel ’48 il pittore darà vita a “Onement I”, in questo caso lo sfondo completamente marrone e la linea rosso accesso risultano sullo stesso identico piano, al punto che l’uno dipende completamente dall’altra. Raggiunto questo equilibrio l’artista riuscirà a creare dei quadri che esprimeranno alla perfezione il sentimento dell’ “hic et nunc”, ossia con la capacità di affermarsi nel tempo presente ed imporsi in modo immediato sull’osservatore. La prima esposizione personale di Barnett Newman, avvenuta nel 1950, fu un vero e proprio fallimento: le sue opere non vennero apprezzate né dal pubblico né dai suoi compagni espressionisti. Tutto questo lo scoraggiò fortemente, ma grazie al sostegno di alcuni amici, fra i quali Jackson Pollock, decise di non abbandonare la sua arte e l’anno successivo si rese protagonista di un’altra mostra.

Vis heroicus sublimis
“Vir heroicus sublimis”

Per questo evento selezionò opere molto diverse fra loro, oltre “Onement I”, che era l’unica a riferirsi direttamente alla sua scoperta pittorica, portò “Vir heroicus sublimis”, in cui viene nuovamente sospesa la differenza fra linee-figure e sfondo. La tela è lunga più di cinque metri e alto poco meno di due metri e mezzo, la sua superficie rossa è divisa da cinque bande, o come preferiva definirle lo stesso Newman, “zip”. L’autore in molti casi utilizza la dimensione delle sue creazioni come un vero e proprio mezzo comunicativo, infatti grazie all’eccessiva grandezza è in grado di costringere lo spettatore ad abbandonare il controllo del suo campo visivo.

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“Qui I” e “Il selvaggio”

“Il selvaggio” e “Qui I” donano un’autonomia ancora più completa alle forme. “Il selvaggio” consiste in una tela nera molto alta e stretta ed appare quindi come una linea che costituisce un’opera d’arte a se stante.”Qui I” è invece una scultura realizzata in gesso e legno e anche in quest’occasione si tratta di un’opera costituita da sole due “zip” totalmente autonome. Nonostante il suo impegno e la sua voglia di riscatto anche questa seconda esposizione non ottenne successo, tanto che attenderà altri sette anni per esporre nuovamente al pubblico i suoi lavori. Finalmente negli ultimi anni Cinquanta arrivarono i meritati riconoscimenti, infatti venne acclamato dalla stampa, dal pubblico e da molti altri artisti, fra i quali Frank Stella, Donald Judd e Jasper Johns.

Osservano lo stile di Newman è immediato il pensiero a Mondrian, ma solo verso la metà degli anni Sessanta il pittore americano si rese conto che le sue idee non erano affatto così lontane da quelle dell’olandese e che in realtà le loro differenze si basavano solamente su una diversa concezione del senso di interezza. Da queste riflessioni nacque la serie omaggio intitolata “Chi ha paura del rosso, giallo e blu”.

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