Riscopriamo Adolfo Wildt

Ho scoperto da poco la produzione di Adolfo Wildt e devo dire che mi ha davvero colpita, non sono mai stata una grande appassionata di scultura e tendenzialmente ho sempre apprezzato di più quella classica o rinascimentale rispetto a quella più moderna, ma le opere di Wildt, attraverso l’eleganza sublime sanno trasmettere emozioni forti ed immediate, come poche altre sanno fare. Lo scultore nacque nel 1868 a Milano da una famiglia di origini svizzere, per diversi anni fece pratica nello studio di Giuseppe Grandi, dal quale acquisì la grande abilità tecnica, una caratteristica che contraddistinguerà i lavori del giovane Adolfo fin dal principio. La prima opera che portò Wildt verso la notorietà fu “La vedova”(1892), ossia un ritratto della sua novella sposa, che venne esposto alla Società d’Arte Moderna di Roma nel 1894.

Il caso volle che un importante mecenate tedesco di nome Franz Rose, si innamorò del viso delicato e romantico de “La Vedova”, tanto che nel giro di poco tempo si presentò nell’atelier dell’artista milanese chiedendogli di realizzare un busto che lo ritraesse, e fu questa la commissione che sancì l’inizio di una lunga collaborazione tra i due. Per molti fu grazie a Rose che Wildt iniziò a creare opere più impegnate sia sotto un punto di vista intellettuale e culturale, che stilistico. A poco a poco il milanese entrò in contatto con le avanguardie del tempo e in particolare con quelle che si stavano affermando nel nord Europa: la Secessione, l’Art Nouveau e l’Espressionismo. “Carattere fiero e anima gentile” (1912) esprime al meglio l’attrazione verso il gusto decorativo, grazie all’utilizzo dell’oro e il trattamento speciale del marmo, che in questo caso, grazie all’opacità e al colore caldo, richiama l’avorio. Nel “Prigioniero” (1915) invece gli impulsi sono chiaramente espressionisti, come suggeriscono i tratti marcati e sofferenti.

Dopo la morte dell’amico Franz Rose,avvenuta nel 1912, Wildt si riavvicinò gradualmente al panorama italiano, dove però non verrà apprezzato e si troverà spesso al centro di pesanti critiche e stroncature. Lo scultore non si fece abbattere da questo disprezzo e continuò sulla sua strada, non lasciandosi influenzare troppo dalle correnti nazionali e concentrandosi sulle sue emozioni e sulla creazione di una sua tecnica estremamente personale, questo gli consentì di dare forma ad opere ricche di significato e dotate di un incredibile delicatezza. Da questi impulsi nacque una serie di statue dedicata al mondo femminile, dove il marmo diventa leggero e malleabile e le figure estremamente stilizzate ricordano le tele del Modigliani.

Nonostante l’accusa di essere un uomo dalla scarsa cultura Wildt riuscì sempre, attraverso la sua maestria tecnica, ad affrontare efficacemente tematiche e concetti di una notevole difficoltà e profondità, in particolare la morte e la spiritualità. Una parte consistente della sua produzione è quella legata alla ritrattistica, infatti fu l’autore del famosissimo “Busto di Mussolini”, il quale divenne un vero e proprio simbolo del potere fascista. A causa di questa e di altre opere legate al duce, dopo la sua morte (1931) e ancora di più dopo la fine della seconda guerra mondiale, gran parte della critica decise di trascurare del tutto il lavoro di Wildt.

Anche se in realtà, come testimoniano diversi studi recenti, non era così strettamente legato al regime, tanto che vi sono diversi altri ritratti di personaggi che si opponevano dichiaratamente alla dittatura, da ricordare in particolare quello del direttore d’orchestra Arturo Toscanini. È un peccato che le statue di questo grande maestro non vengano apprezzate come meritano, Adolfo Wildt era in grado di combinare modernità e tradizione investendo il tutto con una grande intensità emotiva.

Spero che anche molti altri tra voi inizino ad ammirare le opere di un artista, che è per me uno dei più grandi maestri del Novecento.

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