Performance, suoni, copioni, scenografie, eppure non si tratta di teatro…o forse si?
L’happenig è una esperienza artistica tipica degli anni‘60 ideata dall’americano Allan Kaprow. È curioso il fatto che una pratica così innovativa e apparentemente distaccata dalla produzione artistica precedente, debba la sua nascita ad una riflessione sulla pittura. Kaprow, come molti altri suoi colleghi, era rimasto impressionato dalle opere degli espressionisti astratti e in particolare da quelle di Jackson Pollock. Quest’ultimo, ancor più di tutti gli altri, era riuscito a rivoluzionare, non solo il mondo della pittura, ma anche quello dell’arte in generale trasformando le sue tele da “semplici” supporti pittorici a veri e propri ambenti. Il giovane Allan perciò decise che la sua arte avrebbe dovuto uscire dalla tela per occuparsi direttamente dello spazio circostante e di tutto ciò che faceva parte di esso, in questo modo nacquero i cosiddetti ambienti.
L’happening in realtà ha molto in comune con gli ambienti appena nominati, anzi si potrebbe affermare che si tratta quasi di due elementi consequenziali, infatti Kaprow incappò nell’happening nel momento in cui decise di introdurre all’ambiente la componente sonora. Non sapendo come procedere, il giovane artista decise di rivolgersi al musicista John Cage, il quale lo fece ragionare sul caso come meccanismo compositivo, grazie a questo spunto Kaprow sviluppò una nuova forma d’arte: l’happening. “18 Happenings in 6 Parts” sancì la nascita di questa nuova pratica: l’ambiente era suddiviso in tre stanze nelle quali dei gruppi di spettatori si spostavano a rotazione, in questi spazi performance, luci e suoni si combinavano tra loro creando delle situazioni assurde e insensate, ma ciò che più colpì i partecipanti ed i critici fu la vicinanza tra performers e pubblico, per la prima volta tutti si trovavano sullo stesso piano. Al contrario di quello che si potrebbe immaginare alla base dell’happening vi è un testo e questo lo avvicina ulteriormente alla pratica teatrale, tanto più se si pensa che proprio in quegli anni anche il teatro stava provando ad abbattere le barriere tra attori e pubblico, ponendo l’accento su quella che oggi viene definita scrittura scenica, ossia l’insieme di tutti quegli elementi che concorrono alla messa in scena, a partire dall’illuminazione, dai suoni, fino alla gestualità e all’atteggiamento degli attori.
Il teatro, come del resto l’arte, tentava di uscire dagli ambienti elitari e privati per entrare in contatto con il popolo, con la massa, ed infatti molti studiosi iniziarono a considerare gli avvenimenti pubblici e le dimostrazioni in piazza come vere e proprie performance teatrali/artistiche. Partendo da questi presupposti è arrivato il momento di individuare i punti d’incontro tra l’happening e il teatro, e per fare ciò ho deciso di chiamare in causa una compagnia teatrale ancora attiva, ma dal grande passato ossia: il Living Theatre, fondato a New York nel 1947 da Judith Malina e Julian Beck. Come accade nei progetti di Kaprow, anche per il Living Theatre è fondamentale la dialettica realtà-finzione, i performers non sembrano recitare, ma proprio come accade nell’happening, si ha l’impressione che la realtà scenica, sia essa stessa il fulcro dello spettacolo: ciò che accade è ciò che accade e nulla di più, al punto che gli attori non impersonano dei personaggi, ma sono solamente loro stessi. Ultimo punto fondamentale e che unisce ulteriormente queste due pratiche, è lo scambio partecipe e attivo fra chi assiste e chi agisce, in tal modo riescono ad amalgamarsi due parti, che tradizionalmente dovrebbero essere divise, per non compromettere l’esito della performance teatrale o artistica.