Il dada si inserisce nel gruppo delle avanguardie artistiche nate nella prima metà del Novecento e come queste ultime ha largamente influenzato gran parte dell’arte che l’ha succeduta. Il dada però porta con sé delle particolarità, che oltre a contraddistinguerlo dalle altre tendenze ad esso contemporanee, lo rendono in qualche modo speciale dal mio punto di vista. L’anno di nascita del movimento è il 1916, nel pieno della prima guerra mondiale, ma paradossalmente il luogo in cui sorge, ossia la Svizzera, è del tutto estraneo al conflitto e alla carneficina che si stava consumando in gran parte dell’Europa. In questo paese, e in particolare nella città di Zurigo, si erano raccolti diversi intellettuali, per scappare dal minaccioso e incombente pericolo bellico, questi non erano solo pittori o scultori, ma anche letterati, poeti e scenografi. Ben presto queste personalità ebbero modo di incontrarsi tra le strade zurighesi, di stringere amicizie ed infine di creare un gruppo ben affiatato e accomunato dal totale rifiuto e disgusto nei confronti della follia della guerra.
Da questo gruppo nacque il “Cabaret Voltaire”, luogo in cui intellettuali e artisti si esibivano con performance, recitazioni e letture e soprattutto luogo in cui ebbe inizio l’esperienza dadaista. Come ho già scritto in precedenza tutte queste personalità rinnegavano la guerra, per loro si trattava in tutti i sensi di pura pazzia e proprio per questo ci tenevano a discostarsi dal pensiero degenerato che aveva condotto a questo assurdo e sanguinolento traguardo. Il risultato di questa volontà fu quello di rinnegare completamente il passato, in tutte le sue forme, a partire dalle ideologie fino ad arrivare alle produzioni artistiche, tutto doveva essere resettato, cancellato. La ragione andava abbandonata in favore del no-sense e del caso, e proprio in quest’ottica pare che sia venuto alla luce anche il termine dada, la parola che sotto di sé raggrupperà le teorie e le opere di questi eccentrici pensatori. La leggenda narra che l’8 febbraio del 1916 alle sei di sera Tristan Tzara trovò questo termine sfogliando in maniera del tutto casuale un dizionario tedesco-francese, e non avrebbe potuto trovare lemma più adatto: è apparentemente senza significato, senza senso, ma contiene al suo interno svariate possibilità di traduzione; in russo è due volte “sì”, in tedesco è due volte “questo”, mentre in italiano e in francese viene interpretato come una delle primissime parole che il neonato dice per indicare qualsiasi cosa che gli capiti sott’occhio.
Giunta la fine della guerra il dadaismo si diffuse al di là dei confini elvetici e formò, oltre a Zurigo, altri cinque importanti centri operativi: Berlino, Colonia, Hannover, Parigi e New York, dove il movimento cominciò ad essere interpretato secondo accezioni differenti e sotto punti di vista diversi. Veniamo ora a parlare di alcuni veri protagonisti dadaisti. Tra i fondatori si possono ricordare Hugo Ball, poeta e letterato tedesco, che animava le serate del Cabaret Voltaire esibendosi nel suo costume di Magico Vescovo, poi abbiamo il già citato Tristan Tzara poeta rumeno e connazionale di un altro “padre dadaista”, Marcel Janco, pittore e scenografo, e infine il pittore-scultore Hans Arp, che ha fatto del caso e dell’astrazione due dei suoi principali strumenti di lavoro.
Negli altri centri si formeranno tanti altri artisti, per molti versi più noti dei primi. A Berlino ci saranno ad esempio Kurt Schwitters, Hannah Höch e John Heartfield, esponenti di un dadaismo politicamente coinvolto, si avvarranno, per creare le loro opere, di collage, fotomontaggi e litografie. Tra Parigi e New York si troveranno invece alcuni dei nomi più celebri, non solo del movimento, ma anche di tutta l’arte contemporanea, a partire dalla personificazione del dadaismo, Marcel Duchamp e alcuni dei suoi più cari amici, tra i quali: Man Ray, continuamente in bilico tra dadaismo e surrealismo, e Francis Picabia, noto a tutti per la meccanicità che contraddistingueva la sua intera produzione. Il dadaismo quindi è stato un movimento artistico, che si è sviluppato all’inizio del XX secolo insieme a tanti altri, ma non è stato solo questo, è stato un modo di affrontare e interpretare la vita, intesa come permanenza su questo mondo, ma anche come esperienza quotidiana, è stato uno spirito che tutti i suoi esponenti, chi più e chi meno, hanno perseguito.