Si parla spesso di pittura astratta e di come abbia rivoluzionato la nostra concezione dell’arte. A partire da Kandinskij, il quale potrebbe essere definito il padre di questa tendenza, sarebbe possibile elencare moltissimi nomi di pittori che hanno incanalato le loro creazioni in questa direzione. Sarebbe però errato pensare all’astrazione come un’esclusiva della pittura, perciò oggi vorrei parlare di uno scultore che ha sviluppato le sue ricerche proprio in questa direzione, ottenendo dei risultati decisamente affascinanti.
Alexander Calder è il papà di quelle sculture che prendono rispettivamente i nomi di “moblies” e “stabiles”. Entrambe queste tipologie sono costituite da opere davvero spettacolari, alle quali è difficile rimanere indifferenti. I mobiles nati nel 1933 e battezzati in questo modo da Marcel Duchamp, possono essere definiti attraverso l’espressione di sculture cinetiche, proprio perché caratterizzati dal movimento. I primi esempi di mobiles erano azionati da pulegge e manovelle, ma col tempo l’unico motore di queste opere sarebbe diventata l’aria. Il materiale che Calder utilizzava per realizzarli era il metallo, sotto forma di lamine sottili, verniciate con colori diversi, e di filo che reggeva e collegava le diverse componenti. Poteva accadere a volte che l’artista decidesse di aggiungere alle sue sculture degli objets trouvés, come ad esempio frammenti di vetro o di ceramica. I mobiles risultano molto leggeri e dinamici e grazie anche i loro colori sgargianti, riescono a creare delle atmosfere sognanti e giocose, nelle quali lo spettatore non può fare altro che abbandonarsi e lasciarsi incantare dagli scintillii e dai movimenti lenti e aggraziati.
Al moto aereo dei mobiles si oppone la pesantezza e la maestosità degli stabiles. Questi ultimi sono dei veri i propri colossi, la loro grandezza destabilizza e sarebbe più corretto definirli monumenti piuttosto che sculture. Tuttavia ereditano l’animo giocoso dai mobiles, il quale non si manifesta più attraverso il movimento e i colori cangianti, ma attraverso delle forme goffe dalla tinta monocroma, che li fanno assomigliare a dei divertenti dinosauri. Mentre i mobiles esprimevano al meglio le loro potenzialità in ambienti chiusi e intimi, gli stabiles sono stati creati proprio per stare all’aperto, al centro di piazze e di luoghi frequentati da intere comunità. Pertanto si possono considerare degli ottimi esempi di arte urbana, tesi ad abbellire gli spazi della città, ma anche a creare un sentimento di appartenenza. Entrambi questi obbiettivi sono stati portati a termine con ottimi voti dalle creazioni di Calder, infatti i suoi mastodonti hanno sempre ricevuto un riscontro entusiasta da parte del pubblico, e uno degli esempi più significativi è dato da “La Grande Vitesse” del 1969. Quest’opera è diventata il logo di Grand Rapids (Michigan), la città che la ospita, e si trova stampata ovunque a partire dai documenti ufficiali fino ai cestini della spazzatura. Non è necessario però prendere un volo per gli Usa per ammirare delle sculture realizzate da Calder. Presso la Peggy Guggenheim Collecion a Venezia sono esposti due bellissimi mobiles, “Mobile” del 1934 e “Arco di petali” del 1941, e lo stabile intitolato “Mucca” del 1971. “Teodelapio”, un altro stabile, si trova invece alla stazione di Spoleto.